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Tradizione culinaria: tra integrazioni e integralismo

Il cibo è spesso luogo di incontro e di sviluppo tra culture, basti pensare a come la nostra cucina italiana sia migliorata esponenzialmente dopo essere entrata in contatto con prodotti d’oltreconfine come il pomodoro, l’olio, le patate o la pasta.

Tuttavia, spesso ci dimentichiamo di questo vantaggio e, per timore di intaccare la nostra integrità identitaria, ci barrichiamo dietro il concetto di tradizione rifiutando il nuovo e creando stereotipi e pregiudizi su di esso.

Eppure, se da una parte ci fa comodo vedere il kebab, la pizza o il sushi come degli elementi capaci di condensare i tratti specifici della cultura a cui fanno riferimento, dall’altra è bene dirsi che se dovessimo restringere la nostra alimentazione ai soli prodotti della tradizione finiremmo per incappare in non pochi problemi di salute.

A questo punto la domanda sorge spontanea: cosa si intende per tradizione culinaria e come possiamo evitare di farla diventare l’ennesimo strumento per la creazione di pregiudizi e integralismi?

È quello che cercherò di scoprire in questa nuova live di Etnopsi, e lo farò insieme a tre ospiti d’eccezione, Claudia Penzavecchia (Dietista e Divulgatrice scientifica) e i due autori del libro “La cucina italiana non esiste. Bugie e falsi miti sui prodotti e i piatti cosiddetti tipici”, Alberto Grandi (Professore associato di Storia del cibo all’Università di Parma) e Daniele Soffiati (Co-conduttore del podcast “DOI – Denominazione di origine Inventata”).

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Intelligenza artificiale: quale impatto per/nella psicologia?

Negli ultimi anni c’è un argomento che primeggia in gran parte delle discussioni sul web, nei telegiornali e perfino nei piccoli bar di paese: l’intelligenza artificiale.
C’è chi la vede come una risorsa, una sorta di acceleratore di processi noiosi e “sprecatempo”, e chi come una minaccia, un qualcosa che farà pian piano perdere posti di lavoro o che minerà la nostra capacità di relazionarci gli uni con gli altri.
Se è vero, infatti, che i modelli operativi dell’intelligenza artificiale tendono a dare ottimi risultati in vari ambiti (dalla semplice produzione di testi e immagini fino alla creazione di chatbot e assistenti virtuali), è altrettanto vero che essere in grado di elaborare una grande mole di informazioni non vuol dire esserne consapevoli ed elaborarle sotto forma di produzioni senzienti.
Che cos’è, quindi, questa intelligenza artificiale e che impatto ha sulla psicologia di ognuno di noi?
É quello che andremo ad approfondire nella nuova puntata di PsicoPsycho insieme a due ospiti d’eccezione, Chiara Cilardo (Psicoterapeuta e autrice della rubrica di Psicologia Digitale sulla rivista “State of Mind”) e Francesco di Muro (Psicologo; da anni lavora facendo dialogare psicologia, neuroscienze e tecnologie digitali).

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Ayahuasca: Droga allucinogena o strumento culturale?

L’ayahuasca è un decotto naturale famoso per le sue proprietà psichedeliche e, nella cultura di molte popolazioni amazzoniche, si configura come un potentissimo strumento spirituale utilizzato con finalità terapeutiche e introspettive.
Negli ultimi anni, però, l’assunzione del decotto è diventata una moda tra i viaggiatori europei e statunitensi e questo ha generato non solo un incremento del turismo di massa nelle regioni amazzoniche, ma anche la trasformazione della bevanda nell’ennesima droga dello sballo, in un mero oggetto economico e ricreativo svuotato di qualsiasi valore culturale.
L’ayahuasca, però, è qualcosa di molto più complesso in quanto mixa tra loro elementi psicologici, naturali, spirituali, medici, sociali e culturali.
Proprio per questo, nel nuovo video di Etnopsi ho deciso di approfondire l’argomento, ponendo un’attenzione particolare proprio sull’importanza culturale e sociale che l’ayahuasca riveste nelle popolazioni amazzoniche e non.

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La strega: essere demoniaco, personaggio del folklore o donna indipendente?

Leggendo la parola “STREGA” sono quasi certo che nella vostra mente apparirà una donna, probabilmente in stile Befana, a cavallo di una scopa e pronta a lanciare il suo maleficio su qualche malcapitato. Ci sta! Anche perché è questa l’immagine che molto spesso ci regalano le storie, i film, i cartoni animati o il folklore popolare.

Eppure, ad uno sguardo più attento, si vede come la figura della strega abbia subito nel corso dei secoli un’evoluzione che l’ha resa una sorta di personaggio mitologico. Da donna forte, indipendente e libera – che era erborista, levatrice e guaritrice – è diventata l’incarnazione del demonio, l’oggetto per eccellenza che tenta e fa peccare, terminando poi la sua lenta evoluzione con la trasformazione nella Janara di folkloristica memoria.

Tante facce di un unico personaggio che però racconta tanto di chi siamo stati e di chi siamo oggi. Dunque, chi erano e chi sono oggi le streghe?

È quello che ho cercato di capire nelle due live a tema di Etnopsi, quella con Lucia Graziano (archivista ecclesiastica, scrittrice e divulgatrice) e Valentina Cardone (scrittrice, divulgatrice e fondatrice della congrega “Stregonia Coven”).

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Collega o Rivale? Networking ed etica professionale

Con l’avvento del web la concorrenza tra professionisti si è fatta sempre più accesa tanto che, pur di primeggiare per la paura di esser tagliati fuori dal mercato, molti professionisti si trasformano in figure mitologiche che prendono il nome di “fuffa guru”. L’idea di base che spesso muove queste persone è quella dell’homo homini lupus di Hobbesiana memoria, per cui se non arrivo primo gli altri si mangeranno tutto tagliandomi fuori.

Se nel mondo fisico tutto questo si traduce nel volantinaggio coatto, negli incontri dimostrativi gratuiti o nei tariffari da miseria correlati al tanto amato screditamento della concorrenza, nel mondo virtuale si declina nella corsa alla creazione del contenuto più accattivante volto ad incrementare il numero di follower, di click e di visualizzazioni.

Va da sé, questo atteggiamento non porta ad altro che a prodotti approssimativi e all’adozione di strategie che poco hanno a che fare con il principio di etica professionale finendo, quindi, per arrecare un danno in termini di credibilità all’intera categoria lavorativa.

Ma siamo proprio scuri che gli altri professionisti del settore siano necessariamente dei concorrenti?

È quello su cui proveremo a ragionare nella nuova puntata di PsicoPsycho insieme a Simona Moliterno, Damiano Ruggieri, Flavia Tallarico e Simona Muzzetta.

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Cambiare o non cambiare? Cosa ci frena e cosa ci spinge verso un cambiamento

Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quello che lascia ma non sa quello che trova.

Si dice che, se una cosa finisce per essere oggetto di un detto popolare vuol dire che appartiene alla storia dell’essere umano da sempre, e questo è particolarmente vero se pensiamo alla tematica del cambiamento.

Seppure cambiare sia qualcosa che caratterizza in maniera prevalente la nostra esistenza, infatti, non sempre abbandonare l’ormai rinomata zona di comfort si rivela essere così semplice. Tra paure, preoccupazioni e incertezze, la spinta al cambiamento può essere osteggiata da vari ostacoli che molte volte finiscono per rivelarsi delle vere e proprie trappole.

Ebbene, nella nuova puntata di PsicoPsycho andremo ad approfondire proprio il tema del cambiamento ponendo l’accento, tra le altre cose, sulle strategie che possono renderlo un processo quanto più fluido possibile.

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Occupare: dal bisogno alla riappropriazione

L’occupazione abusiva di un immobile è un fenomeno sociale di cui si parla poco e male.

Spesso, infatti, viene presentato solo nella sua accezione aggressiva e incurante della legge, senza però tener conto del panorama individuale, sociale e culturale che fa da sfondo a tale comportamento.

A questo proposito, il libro “Riprendersi la vita” di Osvaldo Costantini fa un passo avanti ponendosi come un vero e proprio studio antropologico ed etnografico sui meccanismi che stanno alla base dell’atto occupativo e delle dinamiche che si sviluppano all’interno di un immobile occupato.

Ho chiesto, quindi, a Osvaldo di confrontarci in una live nella quale non solo parleremo del suo libro ma avremo modo di approfondire vari temi come quello del diritto all’abitare.

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Piero Coppo: un mediatore al confine tra le culture

Piero Coppo è stato uno dei protagonisti indiscussi nello sviluppo e nella diffusione del pensiero e del saper-fare etnopsichiatrico in Italia.

I suoi libri sono una sorta di atlante dell’etnopsichiatria e grazie alla sua capacità di leggere e comprendere le diverse culture con le quali è venuto a contatto ci ha lasciato in eredità un grande bagaglio da elaborare e far evolvere.

A pochi anni dalla sua scomparsa ho cercato di cogliere il fulcro di questo enorme contributo etnopsichiatrico, con un po’ di rammarico per non aver avuto occasione di conoscerlo personalmente!

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Arte e psicologia: come le opere d’arte impattano sulla nostra psiche

Nel 1817 lo scrittore francese Marie-Henri Beyle, meglio conosciuto come Stendhal, all’uscita dalla Basilica di Santa Croce a Firenze si ritrovò a fare i conti con tachicardia, giramenti di testa e un senso di vuoto emotivo, uno stato psicofisico che lui stesso identificò come il risultato dell’esser entrato in connessione con alcune delle opere d’arte presenti nella chiesa fiorentina.

Più di un secolo e mezzo dopo, nel 1977, la psichiatra Graziella Magherini descrisse alcuni casi di turisti stranieri in visita nel capoluogo toscano e colpiti da episodi acuti di sofferenza psichica e somatica ascrivibili all’esperienza raccontata da Stendhal, utilizzando alcuni concetti della psicoanalisi (il “perturbante” di Freud in primis) per spiegarne l’eziologia dei sintomi.

Fu così che il rapporto tra arte e psiche diventò uno dei temi di maggior approfondimento della psicologia, ma anche delle neuroscienze, di alcuni movimenti artistici e perfino di discipline afferenti all’urbanistica. Ci si rese conto, infatti, che l’opera d’arte (sia essa un quadro, una statua o addirittura la conformazione di una città) era in grado di innescare una reazione di rispecchiamento emotivo in alcune tipologie di persone e di condizionarne, così, umore e stato di salute.

Come funziona, quindi, questo processo? È quello che cercheremo di capire insieme nella nuova puntata di PsicoPsycho

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Perché abbiamo paura di litigare? Luci e ombre dell’evitare il conflitto

Spesso quando discutiamo e siamo in disaccordo con qualcuno la conversazione finisce per diventare un vero e proprio litigio, ovvero un momento nel quale gli animi si scaldano e il cui esito è spesso un allontanamento fisico ed emotivo reciproco.

Sembra, quindi, che litigare sia qualcosa assolutamente da evitare dal momento che porta la persona a sperimentare sensazioni di rifiuto, aggressività, abbandono e solitudine. Evitare di farlo, però, ci costringe a mettere a tacere i nostri bisogni e le emozioni che li accompagnano contribuendo, così, ad alimentare un senso di frustrazione e ingiustizia che per assurdo ci porta comunque a distaccarci dall’altro.

È proprio questa impasse che abbiamo analizzato nell’ultima puntata di PsicoPsycho