Ho deciso di condividere questo “spunto” di una mia amica e collega, Aurora Cabras. Aurora è psicologa specializzanda in psicoterapia a indirizzo analitico interpersonale e, nonostante continui a formarsi qui a Firenze, attualmente vive e lavora nella sua città natale, Olbia. Le riflessioni qui riportate partono da un lavoro svolto per un corso didattico (Psicoanalisi e creatività) e vogliono porre l’accento sul legame che c’è tra creatività e dinamiche di gruppo.
Creatività è un termine che indica genericamente l’arte o la capacità cognitiva della mente di creare e inventare; tuttavia esso può prestarsi a numerose interpretazioni e significati.
Freud ad esempio, descriveva la creatività come un tentativo di risolvere un conflitto generato da pulsioni istintive biologiche non scaricate, dove i desideri insoddisfatti sono la forza motrice della fantasia ed alimentano i sogni notturni e quelli ad oggi aperti.
Einstein sosteneva invece, che la creatività non è altro che un’intelligenza che si diverte.
Più recentemente, S. Jobs descriveva la creatività come il mettere in connessione le cose…
Tre mondi diversi, tre concezioni diverse ma nessuna esclude l’altra.
E, partendo proprio dal mettere in connessione le cose…vorrei provare ad unire ed associare due forme di creatività, quella del cinema, in particolare i film di animazione, e quella della psicoanalisi, riferendomi in modo particolare alle teorie di Wilfred Bion e di S. H. Foulkes.
Il mondo dei cartoni animati viene spesso considerato una parentesi di divertimento per bambini, senza troppi contenuti. Eppure, se ci pensiamo bene, certi personaggi non sono soltanto pupazzetti di carta, destinati a rilassare o a far ridere. Dedicando loro uno sguardo più attento, ci accorgeremo che possono anche trasmettere valori e stimolare utili e significative riflessioni. Attraverso l’uso di metafore e similitudini, ci possono far riflettere e ci aiutano ad individuare varie sfaccettature dell’agire e del pensare. Ci mostrano, in modo semplice e ludico alcuni valori e certe caratteristiche tipiche dell’essere umano.
Prendiamo ad esempio il film di animazione L’ era glaciale.
Ventimila anni fa.
La Terra è un meraviglioso universo preistorico pieno di pericoli, non ultimo dei quali l’inizio dell’era glaciale. Per evitare una glaciazione particolarmente terribile, tutte le creature più maestose del pianeta – nonché altre più piccole e pigre – iniziano a migrare verso Sud. Le uniche eccezioni, un solitario e scontroso mammut di nome Manfred, detto Manny, che fa sempre di testa sua, e un bradipo dalla pigrizia terminale e dal temperamento scoppiettante di nome Sid a cui piace non fare assolutamente nulla, anch’egli a modo suo.
Quando Sid “adotta” Manfred come suo protettore, il mammuth cerca in ogni modo di liberarsi di questo fardello. Ma è solo l’inizio delle sue frustrazioni: Manny viene infatti trascinato da Sid nel tentativo di riunire un cucciolo d’uomo abbandonato, di nome Roshan, alla sua famiglia. A loro si unisce Diego, una sinistra tigre dai denti a sciabola, rinnegata dal suo branco, che piano piano diventa amica di Sid e Manny, pur tenendo d’occhio il bambino come preda succulenta.
Mentre Sid, Manny e Diego s’incamminano nel vasto paesaggio coperto dai ghiacci, un’altra creatura, un solitario e alienato scoiattolo /topo preistorico di nome Scrat, sta cercando di portare a termine la sua missione – seppellire una ghianda – una missione infinita e pressoché impossibile che innesca una serie di sfortunate calamità.
E se Scrat dichiara guerra alla stessa glaciazione per proteggere la sua preziosa ghianda, Manny, Sid e Diego s’imbarcano in un viaggio incredibile. Si trovano infatti a sfuggire alle valanghe, a combattere per il cibo con un branco di dodi preistorici, a essere scaraventati su una montagna russa preistorica fatta di canaloni e ponti di ghiaccio su laghi di lava vulcanica.
Diventano così il più improbabile branco di tutti i tempi!
Ed ecco così formato il nostro gruppetto preistorico, nato un po’ per caso, spinto dal desiderio di salvezza da una parte e di uno scopo da raggiungere dall’alta, che porterà allo stabilirsi di un vero legame tra i membri, un gruppo come insieme unitario, che esiste come un tutto, come qualcosa di diverso da un semplice aggregato di individui.
All’inizio della storia, il gruppo però non è così unito, si può subito notare la difficoltà di ognuno di portare avanti i propri obiettivi e la tendenza generale a risolvere i vari problemi incontrati con modi e forme non proprio adeguati alla realtà. Manny vorrebbe continuare a vivere in solitudine, Sid non perde invece occasione per imporre la sua presenza e Diego cerca di convivere con quelli che teoricamente dovrebbero essere per lui delle prede succulente.
Ci troviamo di fronte a tendenze diverse, verso l’individuazione e verso la fusione e la socialità, dove si genera un’angoscia sottostante di rimanere da soli da una parte e una di essere divorati dall’altra. Queste tendenze, con il passare del tempo, si incontrano per trovare un equilibrio, per fondersi e bilanciarsi.
I primi legami li possiamo osservare in Manny e Sid, i due “solitari”, reduci entrambi da un abbandono, che iniziano ad unirsi per salvare il cucciolo d’uomo e riportarlo alla sua famiglia. Cominciano così a darsi una serie di norme e ruoli per raggiungere il loro obiettivo, in qualche modo iniziano a comportarsi come un’unità. I due si atteggiano come se fossero una famiglia per il bambino, inizia a formarsi una fantasia inconscia condivisa che nasce dal desiderio di unione e dalla speranza di riuscire ad accudire il bambino fino al momento di restituirlo ai genitori.
Tra loro si sviluppa un’esperienza sensoriale, affettiva, emotiva, prima ancora che cognitiva, condivisa. Una sorta di “mentalità di gruppo”, un insieme di emozioni intense, di impulsi irrazionali e inconsci, di opinioni, di desideri, di pensieri, di fantasie che vediamo essere in conflitto con i desideri e i pensieri propri dei due singoli e provocare così fastidio, rabbia o altre reazioni.
I due infatti, sono uniti nel cercare di salvare il bambino ma, non perdono occasione per infastidirsi e provocarsi l’un l’altro, talvolta anche con un pizzico di reciproca aggressività. Ma proprio quest’ultima, grazie al legame tra i due anziché rinforzarsi, si neutralizza dando luogo a collaborazione.
Diego rimane sullo sfondo, si muove con il gruppo ma il suo legame rimane ancora forte nei confronti del suo branco di origine e il suo scopo non è quello di salvare il bambino ma, al contrario di darlo in pasto al suo capo branco per riconquistare fiducia e rispetto.
Quando Diego si rende conto di sentire di appartenere al gruppo “glaciale” le cose cambiano, si trasformano e si viene a creare una nuova configurazione di gruppo, una nuova “mentalità di gruppo“, una nuova mente unica, rispetto alla quale non vengono abolite le differenze individuali, ma le stesse vengono inserite all’interno dell’organizzazione del gruppo, dove il presupposto di base è quello di restare uniti e salvare il bambino ad ogni costo.
E così il nostro gruppo si trova ad affrontare una serie di difficoltà e di emozioni intense (a volte primitive) e di fantasie che lo portano ad organizzarsi per raggiungere il proprio scopo. È proprio l’emotività del gruppo, che orienta l’attività stessa del gruppo, viene così a crearsi quella speciale unità in cui l’obiettivo primario diventa la preservazione del gruppo, aldilà delle esigenze dei singoli, per il raggiungimento dello stesso obiettivo.
Il nostro gruppo non è poi così “glaciale” anche se, come il ghiaccio, si scioglie per poi prendere delle forme diverse, passando attraverso continue trasformazioni, da un’attività relazionale collegata a scopi espliciti di lavoro del gruppo ad una intensa attività inconscia.
Ad un livello razionale troviamo quelle attività appunto collegate alla realtà dei fini e degli scopi del gruppo e ad un livello inconscio compare una larga parte di attività mentale occupata a ricercare una coesione del gruppo sulla base di forti tendenze emotive.
Tutti i membri del gruppo sono uniti da un’esperienza comune, quella dell’abbandono.
Viene così a formarsi il nostro gruppo “glaciale ” in cui troviamo un intenso desiderio di sentirsi famiglia, di essere protetti e di proteggere, di lottare insieme contro nemici comuni e anche di riuscire a mettersi in salvo da questi, di sconfiggere e superare arcaiche paure e la volontà di portare a termine una missione reale.
Il nostro gruppo così riesce a superare l’iniziale situazione di isolamento, tutti i membri si sentono liberi di esprimere i propri sentimenti in una situazione paritaria, si rendono conto di poter ricevere comprensione e di poter offrire appoggio e solidarietà. Attraverso il gruppo i membri sviluppano una propria autonomia, una propria capacità di relazione, in se stessi e all’interno del gruppo e raggiungono forme di comunicazione e relazione sempre più articolate. Stabiliscono rapporti solidi, riescono a farsi capire e cercano di comprendere le comunicazioni degli altri, riescono a vedere se stessi in e attraverso gli altri e scoprirli in e attraverso se stessi, riconoscono somiglianze e differenze riuscendo a rispettarle e a godere di entrambe.
Cosa diversa accade al nostro piccolo amico scoiattolo Scrat, lui si trova totalmente immerso in emozioni primitive, inconsce, in convinzioni onnipotenti e magiche, con cui pensa di poter raggiungere il suo unico obiettivo senza passare attraverso la frustrazione provocata dall’apprendimento.
Il suo tutto è la sua amata ghianda, una “ cosa-in-sé”, che allo stesso tempo gli evita e gli genera frustrazione.
Lui vuole solo ed esclusivamente la sua ghianda, il suo punto di fissazione, una sorta di “oggetto bizzarro”, forse spinto dalla convinzione che questa potrà salvarlo da un futuro tutto ghiaccio e solitudine.
Bibliografia
- Badolato-M.G. Di Iullo “Analisi di gruppo” – “Analisi mediante gruppo “, in L’uomo e la società- Bulzoni, Roma,1979;
- Bion “Apprendere dall’esperienza “Armando Editore, Roma, 2009;
- Dennis G. Brown “Bion e Foulkes: al di là degli assunti di base” in M Pines (a c.) Bion e la psicoterapia di gruppo, cit.;
- Grinberg, D. Sor, E. Tabak de Bianchedi “Introduzione al pensiero di Bion”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1993